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Ester Besusso commenta il III canto del Purgatorio: Manfredi di Svevia

Ester Besusso commenta il III canto del Purgatorio: Manfredi di Svevia

21/10/2021

Storia e vita di Manfredi di Svevia

Nel III canto del Purgatorio Dante e Virgilio entrano in contatto con Manfredi di Svevia. Figlio di Federico II di Svevia e Bianca Lancia. Alla morte del padre, Manfredi ottenne la reggenza della Sicilia e dell’Italia meridionale fino all’arrivo del fratellastro Corrado IV dalla Germania. Morto anche quest’ultimo Manfredi mantenne la reggenza al posto del figlio dell’imperatore, Corradino, troppo giovane per regnare. A causa di ciò, egli entrò in conflitto con la Chiesa per il dominio del regno di Napoli che il papato considerava come proprio feudo, in quanto, il papa Innocenzo IV , tutore di Corradino, era il legittimo erede di tale possedimento. Manfredi fu così scomunicato e la lotta con la Chiesa ebbe inizio. Solo con l’intervento di Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, Manfredi venne sconfitto e ucciso nella battaglia di Benevento.

Collocazione di Manfredi nel Purgatorio

Dante lo colloca nell’Antipurgatorio e ne fa protagonista del III canto della II cantica. Dopo che i due poeti hanno incontrato le anime dei morti in contumacia sulla spiaggia del Purgatorio, una di queste si fa avanti e chiede a Dante se lo abbia mai visto. Quest’ultimo lo osserva e lo descrive come un uomo biondo, bello e di aspetto nobile, con un ciglio diviso in due da una ferita. Dopo che Dante ha negato di conoscerlo, l’anima mostra una piaga sul suo petto e si presenta come Manfredi.

Manfredi perfetto cavaliere?

Una volta presentatosi egli chiede a Dante di comunicare alla figlia Costanza che è salvo: Manfredi, infatti, si è pentito in punto di morte dei suoi orribili peccati. Attraverso la collocazione in Purgatorio di Manfredi, Dante vuole inviare al lettore più messaggi. Innanzitutto, Manfredi incarna il perfetto cavaliere, espressione di quella cortesia le cui norme per Dante rappresentano il più alto codice di comportamento civile: è bello, prode, di nobile discendenza e d’animo.

Dante si servì di Manfredi anche per onorare la dinastia sveva portatrice dell’idea di impero che per il poeta è l’ideale di ordine, giustizia e unità.

Infatti Manfredi non nomina il padre, nel nome del quale ha pur combattuto e riportato le due ferite mortali. Nomina invece, con una significativa scelta “patrilineare”, la madre di Federico, beata in Paradiso, quasi a rammentare la sacralità storica dell’Impero. Manfredi fu scomunicato e marchiato dalla storiografia guelfa dei delitti più orrendi. Ma la sua salvezza è un monito sia all’intransigenza della Chiesa, che tendeva a porre la propria legge al di sopra della misericordia di Dio, sia alle superficiali congetture della gente comune, facile a dimenticare l’interiorità della coscienza e a pronosticare la collocazione ultraterrena solo sulla base del comportamento esteriore.

L’imperscrutabilità della giustizia divina

Dante, attraverso la figura di Manfredi, mostra con un esempio clamoroso e inatteso come la giustizia divina segua vie imperscrutabili e possa concedere la salvezza anche a un personaggio «scandaloso» come il re siciliano.

Il suo caso si collega a quello di Catone l’Uticense custode del Purgatorio, nonché alla salvezza del poeta pagano Stazio e dell’imperatore Traiano che Dante incontrerà tra i beati del Paradiso.

Per vedere il video-commento di Ester Besusso presso la Biblioteca clicca qui https://youtu.be/PIhpK4mD7po

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